MORIRE A SEI ANNI: L’ASSURDO MATERIALIZZARSI DELLA REALTÀ E L’IMPONDERABILE SVOLGERSI DEGLI EVENTI Stampa
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CasamicciolaNews - Cronaca
Scritto da Ida Trofa   
Domenica 18 Settembre 2005 19:11

Un tonfo, il rumore di un urto violentissimo e nell’area inspiegabilmente divenuta cupa e greve un odore acre. Nel cuore e nella testa improvvisamente il gelo e solo lo sguardo a rammentare che davanti c’era la realtà, non un suono non un sibilo dalle orecchie, solo i gesti i movimenti della gente in strada.

Una donna inginocchiata accanto al marciapiedi teneva in braccio un bambino. Più in la un motorino e una moto ferme ed un ragazzo correva verso il negozio di mangimi chiedendo dell’acqua: «Per favore, un po’ d’acqua, un po’ d’acqua ». Il colpo, non aveva richiamato in strada la gente, forse il posto è un po’ isolato, forse la strada non è tanto trafficata per via della manifestazione a Monterone, eppure su quell’asfalto qualcosa di grave si stava consumando. Vanamente gli sfortunati tentavano di richiamare a se l’attenzione, eppure in tanti minuti, interminabili, dall’accaduto i soccorsi stentavano ad arrivare. Tutto appariva così irreale,era incredibile, nessuno sembrava volersi arrendere alla struggente verità di quella istantanea impressa negli occhi, li su quello sfondo, oltre il dosso di una via. Ognuno in cuor suo tentava di convincersi che non era nulla di grave. Vi è stato qualcosa che spingeva a rimanere inermi, invalidava ogni azione, era come se ognuno fosse rimasto impietrito, fuori di se. Passando si aveva l’impressione che si trattasse di un fatto di poco conto e la mente non si spingeva oltre, si azzardavano ipotesi: «sarà caduto, il ragazzino sarà caduto », la scena non sembrava potesse essere delle più terribili. Intanto era trascorsa oltre mezz’ora e tutto, ora si che, pareva volgere al peggio.Quella donna inginocchiata era una mamma che teneva in braccio il suo bambino ferito e lo rassicurava, gli infondeva coraggio leniva il suo dolore, parlandogli all’orecchio piano, attenta premurosa, con le lacrime agli occhi, diceva: ora ti passa, non preoccuparti, non preoccuparti! E per un attimo, un lungo attimo tutti ci hanno creduto, quella era una mamma e quello era il suo bambino. Nulla di brutto poteva accadere, è stato solo un piccolo colpo, forse lo specchietto della moto, eppure l’area era cupa e greve, le parole non bastavano più ed il respiro di quel piccolo ferito tra le braccia della sua mamma si facevano sempre più flebili, il coraggio di quella mamma sempre più disperazione, la riproposizione esatta della Pietà. In tanti, però, hanno continuato ha fuggire la realtà, ha credere che il peggio era già avvenuto e nulla di più poteva essere. Le auto continuavano a passare, qualcuna si fermava, la gente restava intorno, uno sguardo, la curiosità e poi la convinzione che tutto si sarebbe aggiustato, non era nulla di grave, la mamma stringeva tra le braccia il suo bambino e nulla poteva accadergli. Erano arrivati i carabinieri, dall’ospedale un ambulanza sarebbe giunta da un momento all’altro. Nessuno per tanto troppo tempo ha voluto arrendersi alla triste verità e forse la paura ci ha portato ha voler credere nel lieto fine. Si è atteso aspettato, confidato in qualche cosa che alla fine non è stato e l’odore acre che lo stridore iniziale aveva diffuso in pochi attimi ha avuto l’odore della morte. Quel piccolo in braccio a quella madre, era Emanuele, ed il suo volto, stava cambiando colore, era sempre più pallido, qualcuno diceva alzategli le gambe eppure nessuno sembrava avere la forza di prendere l’iniziativa, fare qualcosa, , portarlo in ospedale magari caricandolo in auto, rassegnati, senza linfa e coraggio per reagire e davvero quando è giunto papà Franco forse era troppo tardi, e su quella strada dove tutto era apparso impossibile si era realizzato l’assurdo, un bambino era morto, dopo esser caduto colpito dal passaggio di una moto in corsa e quel tonfo che all’inizio era quasi passato inosservato ora resta agghiacciante nella mente di quanti hanno assisti impotenti a questa triste pagina di storia .
Quella madre che fino all’ultimo gli era stata accanto dandogli amore, coraggio e forza, non ha resistito al distacco e per giorni è rimasta in ospedale in stato di shock .
E come al solito, ora, ciò che viene in mente è il dolore di una madre. Una madre non sopravvive alla morte di un figlio. Respira, cammina e parla, sorride persino, ma non vive. Le più “fortunate” sono quelle che riescono ad unire la rabbia allo sgomento dello strappo. Una rabbia cieca e totale. Un irrefrenabile desiderio di vendetta che le trattiene ancora sull’orlo del baratro nel quale vorrebbero buttarsi. Morire sì. Ogni mamma sa che il figlio è mortale. Ma per una opportuna leale causa biologica. Eppure ancora qualcosa vuole spingerci a sperare ancora.
LA VITA OLTRE LA MORTE
All’alba di questa esistenza chiamata vita, tutto appariva, nei riflessi d’un sole nascente, vuoto e decadente, ma i sogni confidati alla luna, hanno trovato concretezza nel tramonto, il cui timido arrossire ha acceso una nuova realtà, l’unica possibile ed accettabile, in cui brillano le percezioni, dominano le emozioni.
La vita è un’effimera parentesi che s’apre su un’esistenza ricca di contenuti in cui uno solo traspare e sugli altri pone il dominio.
È il senso in cui si placa ogni nostro dissenso, come il mare in tempesta le cui onde s’infrangono contro irti ostacoli, ma sfumano nel tenero bacio costiero. Una brezza d’ora in poi soffierà leggera, ci lambirà il viso e penetrerà il cuore come una lancia fitta a scolpire quel sorriso eterno e senza effimere sfumature.
E allora sarà solo il ricordo, la purezza dei gesti costruiti insieme, del cammino che si era cominciati a percorrere e pur con altri mezzi, per altre vie si continuerà all’unisono , uniti in quell’unico intento. E Tu, che apparivi tanto piccolo ed indifeso ora Sarai come la luna, alta e pallida che illumina ed oscura, rivela e nasconde.
In questo giorno d’immenso sconforto nulla sembra aver più senso, tutto appare perso ed anche il vento sussurra al mare, la luna al sole e alle stelle quanto è grande il suo dolore. Rispetto per la morte agghiacciante, inaccettabile di un piccolo, un cucciolo che davvero appena ora si affacciava sull’orizzonte del mondo. Una vita giovane, troppo, per esser stroncata senza neppur essere vissuta, una stella che ha avuto appena il tempo di brillare e rendere struggente, incolmabile la sua assenza, assordante il silenzio delle parole non dette, delle promesse che non si è avuto il tempo di mantenere. Così invece è stato nell’imponderabile svolgersi degli eventi che quel maledetto Venerdì hanno colpito a morte Emanuele Pisani, 6anni, e chi dal suo sorriso dal suo fiato dall’alito del suo essere traeva tutta la sua forza. Eventi che hanno ferito nel profondo l’intera comunità, atterrita da ciò a cui davvero non si può dare un senso.
Da quella maledetta sera, da nord a sud da est ad ovest, in ogni angolo della nostra isola, domande, interrogativi, indagini e ricostruzioni si accavallano stanche, ripetitive a voler trovare un senso a ciò che non ha senso a confluire così in un'unica certezza: martedì 13 settembre nella chiesa di S. Maria Maddalena a Casamicciola saranno celebrati i funerali del bambino rimasto vittima di un tragico incidente stradale. Quesiti e dubbi che non avranno mai una risposta. Come possono accadere queste cose? Perché? Tutto dietro una sola ed unica agghiacciante realtà, triste ed immutabile. È accaduto, e il tormento del suo ricordo, il sibilo assordante della sua presenza, come se su quella strada gli attimi, le sequenze istantanee dell’impatto fatale, la lunga attesa, lo sgomento, tutto, fosse divenuto eterno, in continua proiezione, l’orribile remake di un dramma. L’eco invalidante di quelle voci che ne hanno diffuso il compiersi resterà in noi, indelebile, pronto a riemergere inclemente.
Non è la morte che mi atterrisce è quella orribile parola FINE che si pone volendo narrare dell’epilogo, perché voglio fortemente voglio credere che ci sia un senso a certi fatti eppure devo arrendermi a ciò che non ha rimedio, a quanto ne scaturisce. Nulla sarà più com’era quando eravamo insieme, quando c’eri tu, piccolo. Quando le giornate si allietavano al tuo sorriso, all’infinità tenerezza del tuo amore, quell’amore che donavi senza voler nulla in cambio, incondizionatamente. Quando con la tua mano, sereno, ti affidavi e nel tepore di quella stretta ti sentivi grande ed invincibile.
Fermare il tempo! Tornare indietro per un attimo, un secondo, pochi centimetri, e così dalla morte ci si spinge al suo evolversi. La morte che lascia dietro di se dolore e laceranti ferite e che ci spinge a desiderare quel che non potrai mai essere.